Venerdi

Domani sarà l’anniversario della morte del grande Andy Warhol (22 febbraio 1987). Domenica era quello di Keith Haring (16 febbraio 1990). Due grandi artisti, entrambi americani, entrambi rivoluzionari non solo nel loro campo, perché hanno influenzato l’intera società con le loro opere e la loro concezione artistica. Lo stile di entrambi è diventato talmente iconico che tutti li conoscono, pur senza saperlo. Entrambi gay. 

Domenica sono stata ad una mostra d’arte sull’opera di Keith Haring, una visita guidata in occasione dell’anniversario. La curatrice che si occupava del tour attraverso la galleria, ha parlato della concezione dell’alieno in Keith Haring e di come questo discorso si agganciasse alla sua visione di sé, poiché egli stesso si sentiva un alieno rispetto alla società, in quanto omosessuale. Raccontando le difficoltà incontrate dall’artista nel viversi, la curatrice ha utilizzato l’espressione “tendenza omosessuale”.

Era lapalissiano non fosse omofoba, pur utilizzando inavvertitamente un linguaggio che lo era, senza che lei stessa lo capisse. Keith Haring non “tendeva”, era omosessuale. Non si parla mai di “tendenza eterosessuale”, sapete perché? Perché l’eterosessualità è la norma, l’omosessualità una devianza. È questo che sottintende l’espressione “tendenza omosessuale”. È questo il retroterra culturale nel quale nasce quell’espressione: la negazione, la correzione, l’omofobia.

Mentre la curatrice cercava di spiegare il discorso dell’alieno e le connessioni con l’orientamento sessuale dell’artista, la tensione si aggirava nell’aria, i Dissennatori di Harry Potter abitavano fra noi, un signore al solo sentire la parola “omosessuale” ha tossito, rumorosamente a disagio di fronte a tali “deviazioni” nel suo tour culturale domenicale. 

Perché le parole ci spaventano ancora così tanto? Perché ancora ci imbarazza parlare di omosessualità o sessualità in generale? Vogliamo dare ancora la colpa alla Chiesa, millenaria istituzione che vigila su di noi con la sessuofobia dei suoi dettami? Ne siamo proprio così sicuri?

La sessualità ci spaventa. Ci sentiamo scomodi in essa, perché in realtà, il sesso – come l’amore – ci tocca nel più profondo di noi stessi e allo stesso tempo pervade ogni cosa. Siamo disabituati a parlare di sesso. Talmente tanto, che è bastata una semplice Assemblea d’Istituto al Liceo Laura Bassi di Bologna, per scatenare le solite polemiche di Fratelli D’Italia, ProVita, ecc… tutti riuniti contro “l’ideologia gender” che dilaga nelle scuole e impedisce ai nostri figli di impegnarsi nella loro istruzione.

Il titolo dell’Assemblea era “Quanto è importante parlare di amore e sessualità nel 2020: miti da sfatare, tabù generali e tanta disinformazione”, organizzata benissimo fra seminari con gli esperti del settore e momenti ludico – educativi, qualcosa di cui davvero andar fieri. Ci lamentiamo tanto che i ragazzi d’oggi sono sempre incollati agli smartphone e non si impegnano in nulla, ma invece quando si riuniscono e si organizzano in maniera costruttiva, inizia la danza delle polemiche. Li vogliamo confinare entro un recinto asessuato perché noi stessi siamo a disagio con determinate tematiche, senza renderci conto che anche quel divieto è sessuato, senza renderci conto che il nostro stesso disagio nasce dall’ignoranza, dalla mancanza di conoscenza.

Quando avevo undici anni feci “Educazione Sessuale” a Catechismo. Sì, proprio lì. La ragazza che si occupava di noi studiava psicologia e decise autonomamente di utilizzare dei libri didattici adatti alla nostra età per farci capire come parlare di noi stessi. Ci disse che dovevamo saper chiamare le cose con il loro nome, perché utilizzare termini ambigui, edulcorazioni come “lì in basso o la patatina”, faceva sì che non ci capissero neanche gli altri. Durò qualche settimana questo ribelle tentativo educativo, fino a che un drappello di mamme non fece arrivare “i gendarmi con i pennacchi”, nella fattispecie il prete, che mise fine alle nostre eversive lezioni. 

Non posseggo tanti ricordi delle lunghe ore di Catechismo della mia infanzia, ma le sue lezioni le ricordo. Così come capii nel tempo la rilevanza di tutto ciò che era accaduto. Quella ragazza ci insegnò il potere dell’educazione sessuale.

Ancora oggi, dopo anni, l’Italia è una delle cinque Nazioni Europee in cui non c’è l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole (le altre sono: Lituania, Polonia, Bulgaria e Cipro). Ancora oggi, in Italia c’è chi può permettersi di associare l’omosessualità alla pedofilia (o comunque schernire le persone lgbtq+) dall’alto di una carica politica pagata con i soldi anche di noi, persone lgbtq+. Ancora oggi, dopo anni, “la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio”, per qualsiasi cosa concerna la sessualità, o la sfiori anche solo liminalmente. 

Il gruppo di rappresentanza del Liceo Laura Bassi di Bologna ha annunciato lunedì: “Vogliamo creare un’organizzazione studentesca relazionale. Fare rete. Vogliamo che tutti gli studenti si uniscano perché ciò che vogliamo è comune e concreto. Vogliamo l’educazione sentimentale per le scuole per tutti, a Bologna, Milano e in ogni parte d’Italia”.

E noi, cosa intendiamo fare?