La nostra società da sempre affronta il sesso con riserbo e discrezione. Anche al giorno d’oggi certe tematiche vengono trattate con un velo di imbarazzo e paura, come un argomento tabù da non poter considerare. Nonostante certe pratiche possano essere sottoposte a severi giudizi morali, e quindi ritenute proibite, i nostri occhi sono spesso sottoposti a immagini che abbiano richiami all’ambito sessuale, senza considerare la pornografia in senso stretto, quindi la rappresentazione esplicita di soggetti colti durante pratiche erotiche.
Lo spettatore contemporaneo è ormai avvezzo a certe visioni e ha sviluppato, quindi, un’attitudine mentale che non lo porta più a vivere il sesso come un atto osceno ma, nei secoli scorsi, la questione si presentava diversamente.
Fino alla fine del Cinquecento, infatti sarebbe stato impensabile poter riprodurre immagini erotiche e soprattutto, senza rischiare di imbattersi in pesanti sanzioni. Durante il Rinascimento, però, un gruppo di coraggiosi artisti sembrò sdoganare l’argomento realizzando i primi esempi di pittura erotica.
Dopo l’austero pontificato di Adriano VI, ostile alle arti e che, quindi, aveva osteggiato qualsiasi espressione artistica, nel 1523, con la salita al soglio pontificio di Giulio de’ Medici, papa Clemente VII, il clima culturale romano aveva acquistato un nuovo vigore. L’atmosfera vivace del nuovo pontificato aveva calamitato a Roma una serie di nuovi artisti provenienti da tutte le parti d’Italia e anche d’Oltralpe. Inoltre, il preciso momento culturale aveva agevolato il rinnovamento e l’impeto alla trasgressione.
Negli anni ’20 del Cinquecento, infatti, Roma diviene la culla del Manierismo. Come seguaci di Raffaello, da poco scomparso, si fanno strada Giulio Romano, Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio. Dalla Toscana arrivano Rosso Fiorentino e Benvenuto Cellini e da Parma il giovanissimo Parmigianino che, nonostante l’età, aveva già sperimentato varie modalità espressive, quali la distorsione della figura, come si evince dal suo Autoritratto nello specchio convesso. In questa fucina culturale, caratterizzata dalla ricercatezza stilistica e dall’amore per il gusto archeologico, gli artisti sono accomunati dalla volontà di rompere con le leggi classiche in favore di una nuova modalità espressiva, più ribelle e spregiudicata. Questa piccola realtà aveva reso possibile la nascita di virtuosismi rari. Lo storico dell’arte Chastel aveva, inoltre, descritto questi anni clementini come tempi all’insegna della bella vita, caratterizzati da un’atmosfera edonistica e a tratti lussuriosa, tanto che l’infausto evento del Sacco di Roma si era presentato come un dramma totalmente inatteso. L’idea di questa Roma libertina e godereccia è evocata già nella Vita di Cellini, in cui si fa riferimento esplicito ai piaceri erotici della sua esperienza romana, e ai Sonetti lussuriosi composti da Pietro Aretino, anche se il letterato decise poi di andarsene alla volta della ben più tollerante Venezia, proprio in questo periodo, ispirato dalla famosa serie dei Modi. I Modi, conosciuti anche come Le sedici posizioni o De omnibus Veneris Schematibus, costituiscono il primo libro erotico del Rinascimento, contenente sedici illustrazioni che raffigurano in modo esplicito sedici posizioni sessuali. L’edizione originaria fu realizzata da Marcantonio Raimondi che si basò su dei dipinti erotici di Giulio Romano, commissionati da Federico II Gonzaga e destinati a Palazzo Te di Mantova. I Modi furono poi nuovamente pubblicati nel 1527, ma in un’edizione che vede i dipinti non autonomi ma associati ai poemi.
Scandalosa dovette apparire tale produzione tanto da costare a Raimondi anche un breve soggiorno in carcere, da cui riuscì a evadere, anche se gran parte delle opere fu comunque soppressa. Una copia, stampata probabilmente nel 1550 a Venezia, è stata rinvenuta solo nel 1920, contenente quindici delle sedici posizioni. Una riproduzione delle posizioni venne forse realizzata da Camillo Procaccini, ma più probabilmente da Agostino Carracci per una tarda ristampa del poema di Aretino. I soggetti dell’opera denotano una buona conoscenza dei testi classici, in quanto si tratta di personaggi, storici e mitologici, appartenenti al mondo greco e romano.
La censura che investì Marcantonio, però, si dissolse velocemente. Più accorti e disciplinati, Rosso Fiorentino e Perin del Vaga riuscirono ad attenuare lo stile troppo crudo ed esplicito di Giulio Romano, dando vita a una nuova serie, definibile in termini moderni come soft porno, intitolata Amori degli dei.
I disegni di Perin del Vaga, ripresi e incisi da Gian Giacomo Caraglio, erano stati inizialmente commissionati a Rosso Fiorentino. Dopo i primi due, però, racconta Vasari, pare che a seguito di un litigio con lo stampatore, Rosso fu sollevato dall’incarico, affidando l’intero lavoro a Perino che si trovava, tra l’altro, in pessime condizioni economiche. La serie, del 1527, era composta da ventuno fogli, ma a noi non è sopravvissuta nella sua interezza; oltre a essere incompleta, alcune illustrazioni sono state modificate, probabilmente sono state cancellate alcune parti delle scene più esplicite. L’episodio dell’amore di Apollo e Giacinto, collocati entro una sorta di spazio ovale, probabilmente è nato come progetto preparatorio per la realizzazione di un cammeo dal medesimo soggetto.
Di fronte, quindi, a un contesto così licenzioso e scanzonato, i lanzichenecchi luterani si dovettero sentire in un certo senso autorizzati a distruggere, in occasione del Sacco di Roma, tutto quello che poteva essere simbolo della licenziosità della Roma pontificia.
Ma l’opera d’arte più celebre per esser stata sottoposta a un’invasiva azione di censura è senza dubbio il Giudizio Universale della Cappella Sistina. Nel gennaio 1564 Daniele Da Volterra fu incaricato dalla Congregazione del Concilio di Trento di ricoprire tutte le porzioni considerate “oscene”, quindi nudi troppo evidenti o scene ritenute sconvenienti. L’intervento, che cominciò, poco dopo la morte di Michelangelo, intendeva rivestire le nudità troppo spinte di alcune figure,compito che costò al pittore il soprannome di Braghettone. La modifica più invasiva, però, riguardò la coppia dei santi Biagio e Caterina, al centro dello scandalo perché ritratti in una posizione che poteva ricordare un atto sessuale. I questo caso, quindi, il pittore decise di eliminare l’intonato originale, volgendo all’indietro la testa di San Biagio in modo che sembrasse meno lascivo nei confronti della santa prona davanti a lui. La generale opera di censura fu poi ripresa e continuata da Girolamo da Fano e Domenico Carnevale.
È evidente che, quindi, un eccesso di estro e di audacia creativa da parte di una cerchia ristretta di pittori, i primi che dimostrarono il coraggio di azzardare su tematiche nuove e compromettenti, si sarebbe dovuta scontrare per anni con la mentalità altrui e con una società non ancora pronta ad affrontare tematiche ritenute immorali, indegne, quindi, da diventare soggetto principale di dipinti.